domenica 8 febbraio 2009

Caso Englaro emolto di più...

Adriana mi ha scritto quanto segue. Addolorato e indignato come lei, spero che qualcuno raccolga il suo invito a prendere una posizione contro l'operato di Berlusconi.

Pietro

Carissimi

Vi allego l’articolo odierno di Scalfari su Repubblica. Sicuramente lo avrete visto, ma credo che, indipendentemente dall’attuale tragedia, sia importante prendere coscienza delle considerazioni che fa circa l’uso politico del caso. Berlusconi sente il dovere di governare con “incisività e rapidità”, questo vuol dire che si vuole liberare dei laccioli della Costituzione. Tutto ciò che sta accadendo ultimamente ci porta in modo radicale verso un cambio drammatico e, forse, plebiscitario (si aspira a questo) del nostro ordinamento. Non c’è una forza di opposizione che può realmente contrastare questa deriva, solo noi cittadini, UNITI, possiamo e dobbiamo prendere in mano la nostra vita facendo veramente sentire la nostra voce. Parliamone tanto tra noi e con gli altri. Vediamoci, cerchiamo di fare qualcosa!
A presto

Adriana
adrianaalimonda@yahoo.it

NON POTEVA ESSERCI SCEMPIO PIU’ ATROCE
di EUGENIO SCALFARIi

Il caso Englaro appassiona molto la gente poiché pone a ciascuno di noi i problemi della vita e della morte in un modo nuovo, connesso all'evolversi delle tecnologie.
Interpella la libertà di scelta di ogni persona e i modi di renderla esplicita ed esecutiva. Coinvolge i comportamenti privati e le strutture pubbliche in una società sempre più multiculturale. Quindi impone una normativa per quanto riguarda il futuro che garantisca la certezza di quella scelta e ne rispetti l´attuazione.
Ma il caso Englaro è stato derubricato l´altro ieri da simbolo di umana sofferenza e affettuosa pietà ad occasione politica utilizzabile e utilizzata da Silvio Berlusconi e dal governo da lui presieduto per raggiungere altri obiettivi che nulla hanno a che vedere con la pietà e con la sofferenza. Non ci poteva essere operazione più spregiudicata e più lucidamente perseguita.
Condotta in pubblico davanti alle televisioni in una conferenza stampa del premier circondato dai suoi ministri sotto gli occhi di milioni di spettatori.
Non stiamo ricostruendo una verità nascosta, un retroscena nebuloso, una opinabile interpretazione. Il capo del governo è stato chiarissimo e le sue parole non lasciano adito a dubbi. Ha detto che «al di là dell´obbligo morale di salvare una vita» egli sente «il dovere di governare con la stessa incisività e rapidità che è assicurata ai governanti degli altri paesi». Gli strumenti necessari per realizzare quest'obiettivo indispensabile sono «la decretazione d´urgenza e il voto di fiducia»; ma poiché l´attuale Costituzione semina di ostacoli l´uso sistematico di tali strumenti, lui «chiederà al popolo di cambiare la Costituzione».

La crisi economica rende ancor più indispensabile questo cambiamento che dovrà avvenire quanto prima.
Non ci poteva essere una spiegazione più chiara di questa. Del resto non è la prima volta che Berlusconi manifesta la sua concezione della politica e indica le prossime tappe del suo personale percorso; finora si trattava però di ipotesi vagheggiate ma consegnate ad un futuro senza precise scadenze. Il caso Englaro gli ha offerto l´occasione che cercava.
Un´occasione perfetta per una politica che poggia sul populismo, sul carisma, sull'appello alle pulsioni elementari e all´emotività plebiscitaria.
Qui c´è la difesa di una vita, la commozione, il pianto delle suore, l´anatema dei vescovi e dei cardinali, i disabili portati in processione, le grida delle madri. Da una parte. E dall´altra i «volontari della morte», i medici disumani che staccano il sondino, gli atei che applaudono, i giudici che si trincerano dietro gli articoli del codice e il presidente della Repubblica che rifiuta la propria firma per difendere quel pezzo di carta che si chiama Costituzione.
Quale migliore occasione di questa per dare la spallata all'odiato Stato di diritto e alla divisione dei poteri così inutilmente ingombrante? Non ha esitato davanti a nulla e non ha lesinato le parole il primo attore di questa messa in scena. Ha detto che Eluana era ancora talmente vitale che avrebbe potuto financo partorire se fosse stata inseminata. Ha detto che la famiglia potrebbe restituirla alle suore di Lecco se non vuole sottoporsi alle spese necessarie per tenerla in vita.
Ha detto che i suoi sentimenti di padre venivano prima degli articoli della Costituzione. E infine la frase più oscena: se Napolitano avesse rifiutato la firma al decreto Eluana sarebbe morta.
Eluana scelta dunque come grimaldello per scardinare le garanzie democratiche e radunare in una sola mano il potere esecutivo e quello legislativo mentre con l´altra si mette la museruola alla magistratura inquirente e a quella giudicante.
Questo è lo spettacolo andato in scena venerdì. Uno spettacolo che è soltanto il principio e che ci riporta ad antichi fantasmi che speravamo di non incontrare mai più sulla nostra strada. * *
Ci sono altri due obiettivi che l´uso spregiudicato del caso Englaro ha consentito a Berlusconi di realizzare.
Il primo consiste nella saldatura politica con la gerarchia vaticana; il secondo è d´aver relegato in secondo piano, almeno per qualche giorno, la crisi economica che si aggrava ogni giorno di più e alla quale il governo non è in grado di opporre alcuna valida strategia di contrasto. Dopo tanto parlare di provvedimenti efficaci, il governo ha mobilitato 2 miliardi da aggiungere ai 5 di qualche settimana fa. In tutto mezzo punto di Pil, una cifra ridicola di fronte ad una recessione che sta falciando le imprese, l´occupazione, il reddito, mentre aumentano la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Di fronte ad un´economia sempre più ansimante, oscurare mediaticamente per qualche giorno l´attenzione del pubblico depistandola verso quanto accade dietro il portone della clinica «La Quiete» dà un po´ di respiro ad un governo che naviga a vista.
Quando crisi ingovernabili si verificano, i governi cercano di scaricare le tensioni sociali su nemici immaginari. In questo caso ce ne sono due: la Costituzione da abbattere, gli immigrati da colpire «con cattiveria».
Il Vaticano si oppone a quella «cattiveria» ma ciò che realmente gli sta a cuore è mantenere ed estendere il suo controllo sui temi della vita e della morte riaffermando la superiorità della legge naturale e divina sulle leggi dello Stato con tutto ciò che ne consegue. Le parole della gerarchia, che non ha lesinato i complimenti al governo ed ha platealmente manifestato delusione e disapprovazione nei confronti del capo dello Stato ricordano più i rapporti di protettorato che quelli tra due entità sovrane e indipendenti nelle proprie sfere di competenza. Anche su questo terreno è in atto una controriforma che ci porterà lontani dall´Occidente multiculturale e democratico.

* * *
Nel suo articolo di ieri, che condivido fin nelle virgole, Ezio Mauro ravvisa tonalità bonapartiste nella visione politica del berlusconismo. Ha ragione, quelle somiglianze ci sono per quanto riguarda la pulsione dittatoriale, con le debite differenze tra i personaggi e il loro spessore storico.
Ci sono altre somiglianze più nostrane che saltano agli occhi. Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, cui seguirono a breve distanza lo scioglimento dei partiti, l´instaurazione del partito unico, la sua identificazione con il governo e con lo Stato, il controllo diretto sulla stampa. Quel discorso segnò la fine della democrazia parlamentare, già molto deperita, la fine del liberalismo, la fine dello Stato di diritto e della separazione dei poteri costituzionali.
Nei primi due anni dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva conservato una democrazia allo stato larvale. Nel novembre del ´22, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, aveva esordito con la frase entrata poi nella storia parlamentare: «Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli».
Passarono due anni e non ci fu neppure bisogno del bivacco di manipoli: la Camera fu abolita e ritornò vent'anni dopo sulle rovine del fascismo e della guerra.
In quel passaggio del 3 gennaio ´25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante.
Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione.
Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve.
Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel «rinsavimento» sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione. Sui problemi della sicurezza e della giustizia la divaricazione tra la maggioranza e le opposizioni è ormai incolmabile. Sulla riforma della Costituzione il territorio è stato bruciato l´altro ieri.
E tutto è sciaguratamente avvenuto sul «corpo ideologico» di Eluana Englaro. Non ci poteva essere uno scempio più atroce.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mah... il parallelo tra Mussolini e Berlusconi, sebbene calzi perfettamente come modalità e anche dal punto di vista di un succo ideologico, mi lascia perplesso per un semplice motivo cronologico. Fatte le debite distinzioni storiche, inoltre, in un'Europa tutt'altro che unificata e con imperi coloniali in atto. Mussolini, quando arrivò al potere aveva 40 anni circa, quindi un uomo giovane ed energico, che poi dimostrava agli italiani ossannanti e stupefatti le sue energie in demagogiche apparizioni tra i campi abruzzesi o sulle nevi del Terminillo. Berlusconi è un uomo alla fine della sua vita, ha 73 anni, sviene ogni due per tre, ha bisogno del belletto per potersi presentare, e, secondo me, non ne ha per molto. E, finendo lui, secondo me finisce anche Forza Italia e il partito delle libertà (libertà di delinquere impunemente), perché si identificano totalmente con questa carismatica figura, nonostante le fusioni già avvenute o in procinto di avvenire. Non c'è più alcuna ideologia se non il consumismo nel partito delle libertà, non c'è un pensiero... in altri momenti storici è stata la sua forza, in un prossimo futuro potrebbe essere la sua debolezza.
Quello che più cattura la mia attenzione (e mi spaventa), oggi, è un'opinione pubblica in maggior parte assolutamente acritica, imbonita da tv spazzatura e da questa astutamente anestetizzata negli anni, incapace di pensare colla propria testa e di formarsi delle opinioni sensate perché priva di strumenti critici. Una massa pericolosa per tutti, che segue or questa or quella chimera che alza la voce più forte e che si fa impressionare da sillogismi demagogici ed estremamente semplicistici. Una massa che è disposta a linciare stranieri in nome di una presunta sicurezza che lo Stato fantoccio avrebbe dovuto garantire e che cerca di farlo demagogicamente con la presenza di militari qua e là, per fare la guardia ad ogni bella ragazza, e che invece non possono fare assolutamente nulla perché non hanno gli stessi poteri della polizia o dei carabinieri, non vigendo la legge marziale. Ma questa massa ci crede perché per essa gli uomini in divisa sono tutti la stessa cosa. Questa massa così pericolosa per le libertà civili, che non esita a esprimersi a Guidonia per una giustizia bricolage, contiene però potenzialmente un grande pericolo anche per chi l'ha creata e chi la fomenta. Essendo acritica è facilmente manipolabile. Se quindi si volesse (e sottolineo se) ribaltare la situazione si potrebbe, cogli stessi mezzi di questa destra becera e cieca che ci ritroviamo in Italia, far colpo su di essa. In fondo, i comunicatori veramente bravi cercano di parlare un linguaggio intelligibile alle persone a cui vogliono vendere la poltrona Rita o Francesca, il sugopronto o le calze NoNò. Non si rivolgono in un linguaggio alieno e quanto mai lontano da esse, il politichese di sinistra, dove si parla di classi sociali che non esistono più,almeno nel modo in cui si presentavano 40 o 50 anni fa (non c'è un proletariato, tra l'altro senza prole per mancanza di mezzi... ci sono i nuovi poveri, che sono un'altra cosa), e che i politici pensano siano talmente istruite da comprendere il loro forbito (?) linguaggio. No. Le masse sono ignoranti. È una triste consapevolezza ma è così. In confronto all'alta scolarizzazione del Nordeuropa, nel paese di Dante e di Leonardo, ma anche di Marconi e di Rubbia, l'ignoranza della maggior parte dei cittadini si spalma generosamente a fette, su tutto il territorio nazionale, con delle punte imbarazzanti in alcune zone tendenzialmente e anche storicamente molto cattoliche o che hanno avuto il dominio della Chiesa fino all'unità d'Italia. Vedi il Lazio. Facendo eccezione per Roma, che in qualità di metropoli e capitale raccoglie di tutto ma dove gira anche buona parte del popolo pensante del paese, il resto della regione è davvero in gradi di sottosviluppo culturale imbarazzante, che neanche regioni depresse come la più remota provincia francese o spagnola hanno più. La Tuscia o la Ciociaria sono qualcosa che per chi non le conosce da vicino, al di là di un ambiente naturale assolutamente strepitoso e spesso incontaminato che ne fanno due tra le zone più belle del paese, spaventano per l'ignoranza storica e atavica dei loro abitanti. Non basta avere il Palazzo Farnese di Caprarola o l'Abbazia di Casamari per essere evoluti o sentirsi ricchi di cultura. I numerosi monumenti d'origine feudale, peraltro isolati, in città che mai furono come i fervidi comuni toscani o lombardi, non fanno la cultura di chi abita in quelle contrade. Anzi, spesso, coloro manco conoscono le proprie ricchezze né possono mai e poi mai fruire e gestire il partimonio artistico e monumentale in maniera utile per la propria e altrui crescita culturale. Ho detto la Tuscia e la Ciociaria, ma potrei allargare alle province di Agrigento, Napoli, la Calabria tutta, molte valli alpine (la ricchezza, da sola, non crea la consapevolezza culturale), specie piemontesi, lombarde e venete, estendendolo anche a una Milano leghista e morattiana, dove non resta che scampoli di moda e si parla di un'expo senza capire che cos'è e cosa comporta. Tra un valligiano della val brembana e un abitante medio della Tuscia non v'è poi tanta differenza in termini culturali. Soldi, palanche, quattrini... sono il valore fondamentale e legante (e assolutamente inelegante). Notare che tra le valli lombardo-venete e le regioni laziali c'è una fortissima cultura cattolica, oggi fomentata, come simbolo e valore d'un'identità, da una Lega Nord che dell'ignoranza delle altre culture e anche della propria (inventata), alla fine, ne ha fatto sempre la bandiera, in maniera molto evidente e imbarazzante.
Queste masse ignoranti, dicevo, queste masse dove scorrazza sempre più libero l'analfabetismo di ritorno, che formano lo scheletro principale del paese, non ci si illuda che siano poi alla fine sempre così manovrabili dalle destre. Queste masse ragionano colla pancia. Per cui se si lasciano vergognosamente manipolare da un'opinione cattolica vergognosamente pilotata sull'eutanasia, colla strumentalizzazione indecente del caso Englaro, saranno assolutamente manipolabili quando la colossale bolla di sapone costruita dal pensiero consumista berlusconiano farà pop, inesorabilmente e ripetutamente spinta da una crisi globale di cui ancora non ci si vuol rendere conto perché è un macigno troppo difficile da mandar giù. Queste masse si rivolteranno, mi auguro al più presto, contro questa stessa destra vuota che esse stesse in un circolo vizioso hanno contribuito a esaltare, perché il raggiro non potrà più essere celato da pubblicità rassicuranti. Non potrà esserci nessuna pubblicità di famiglie felici con piatti di pasta fumanti e zie che vogliono altro ragù, non potrà esserci alcuno spot di auto a SOLI 15.000 euro, non potranno esserci annunci di banche che regalano assegni da un miliardo come il bellissimo Cecè (chi non lo conosce vada a consultare la rete per scoprire chi era). Non potranno essere calmate da visioni rassicuranti quando non sarà più possibile fare il pieno all'auto sgangherata o andare in treno perché il biglietto o l'abbonamento o il carburante avranno prezzi che non ci si potrà più permettere, in un paese che del decentramento abitativo ha fatto la sua cifra speculativa.
Il problema che bisogna porsi adesso, ancora in tempo, o almeno che alcuni intellettuali illuminati, o politici con idee chiare e oneste dovrebbero porsi è assolutamente questo: come comunicare, al momento in cui si presenterà il conto a quelle masse, con una lingua che possa essere capita e portarle dalla propria parte? Come portarle a ragionare, sempre colla pancia, perché in altro modo non riuscirebbero mai non avendo strumenti critici che non si creano da un giorno all'altro ma con un'istruzione capillare e lunga, tra l'altro in età formativa?
E come fare, in un mondo che va avanti bruciando tappe a velocità supersoniche mentre da noi si discute ancora del sesso degli angeli? Su questo si baserà la svolta possibile del nostro paese.
Chi continuerà a parlare come Veltroni o D'Alema o Rutelli o tutti questi personaggini da basso impero non avrà ascolto, come ha dimostrato la recente storia elettorale.
Essi perdono i consensi inevitabilmente anche di chi ignorante non è e che rifiuta la mistificazione intellettuale e politica che queste persone continuano a praticare a spese di tutti. Questa nuova maniera di comunicare forse potrebbe essere una chiave... E non vuole essere l'elogio di Di Pietro, che sarebbe bene una volta per tutte che studiasse un testo di sintassi italiana, perdindirindina! Non è neanche questo il linguaggio da usare, perché è sgrammaticato e presta il fianco a vizi di forma. Non so se potrà essere quello di Grillo, pur efficace nell'arcaica forza simbolica della satira. È un'ipotesi, ovviamente, ma nel disorientamento totale alimentato in maniera sempre crescente da partiti da supermercato di destra e di sinistra, non me ne vengono in mente altre. Attualmente, almeno.